Suckerfish

E se non siamo balbuzienti...

Qualche anno fa, nell’ambito delle diverse associazioni nazionali, ci fu in un vero e proprio dibattito su un argomento che allora mi parve alquanto prolisso e inutile: dovevamo chiamarci “balbuzienti” oppure “persone che balbettano”? Addirittura al congresso mondiale di San Francisco (Agosto 1992) i rappresentanti delle associazioni di tutto il mondo (compreso il sottoscritto) discussero animatamente su questo dilemma.

Mi sembrava che ci fossero argomenti di maggiore interesse ed importanza. Ed invece su tutti i giornali delle associazioni si continuò a discutere e a dibattere. Ricordo che rimasi assolutamente neutrale in quanto mi sembrava indifferente usare il termine “balbuziente” oppure un giro di parole che voleva dire – credevo – esattamente la stessa cosa.

Facevo anche l’esempio degli “operatori ecologici” che un tempo si chiamavano “netturbini” e prima ancora “spazzini”. Sostenevo che era giusto semmai corrisponder loro un buon stipendio, visto il lavoraccio che svolgevano, ma che poi non cambiava lo stato delle cose chiamarli in un modo o nell’altro. Un socio ci scrisse che potevamo chiamarci tranquillamente balbuzienti perché non è un termine che cambia lo stato delle cose; e citava un suo amico cieco che si infuriava ogni volta che si sentiva chiamare “non vedente” perché questo termine non gli dava maggiore gioia, non gli conferiva maggiore dignità, non accresceva né leniva il suo dolore.

Anch’io ero di quel parere.

E se non siamo balbuzienti.... chi siamo?

Ma qualcuno non era d’accordo. Ci giunse una bella ed accorata lettera del Dr. Salvatore Lagati, Direttore del Servizio di consulenza pedagogica di Trento, il quale, tra le altre cose, sosteneva: “...la parola “balbuziente” spesso non è accettata dagli interessati. Mi è venuto spontaneo fare dei paragoni con altri disturbi: gli audiolesi, ad esempio, prima erano chiamati sordomuti. Oggi questo termine non si usa più, almeno da parte dei genitori di bambini e di giovani sordi. Vengono chiamati o sordi o audiolesi. Sordomuti sa di handicap anche relazionale. Infatti se il sordo viene educato per tempo e correttamente, riesce a parlare. Anche se non benissimo, ma riesce a farsi capire e a capire le altre persone. Ma la sordità resta! Tutto il lavoro che noi facciamo per aiutare il sordo serve per farlo sentire un po’ di più con le protesi acustiche e per farlo comunicare usando la parola parlata. E nella difficoltà di usare la parola parlata, può comunicare con il metodo dei segni. Ma la sordità, ripeto, resta! La sordità neurosensoriale oggi ancora non si può curare. Coi balbuzienti non è così: se si interviene, meglio se lo si fa per tempo, quando il bambino è piccolo, si può far molto perché possa parlar bene. E se comunque si instaura la balbuzie, si può, con terapie ormai collaudate, correggerla, ridurla, talvolta eliminarla. Il sordo, dopo tutto il nostro lavoro, lavoro che spesso dura tutta una vita, resta sordo. Il balbuziente no! Saputo aiutare, non è più balbuziente o comunque resta un balbuziente in cammino verso una fluenza migliore.” La lettera si concludeva così: “La presente è una riflessione scritta. Non necessariamente una critica. Ma la faccio e gliela mando, perché come dicevo all’inizio, la vostra associazione la trovo non solo simpatica, ma UTILISSIMA”.

Da allora sono passati diversi anni, si sono accavallate esperienze, siamo cresciuti (almeno in età...) e anche il sottoscritto conviene ora che chiamarci “balbuzienti” è come darci un’etichetta, un marchio. Ed è inoltre riduttivo perché in tal modo ci si qualifica, ci si descrive, solo in base ad una nostra caratteristica che, si spera, non è poi quella che più ci caratterizza. Sarebbe come definire Ray Charles “un cieco”, Pierangelo Bertoli “un paraplegico”, Aldo Fabrizi “un grasso”, Totò “un brutto”, la Levi Montalcini “una vecchia”, saltando a pie’ pari il fatto che essi sono o sono stati i grandissimi personaggi che sappiamo. E saranno o saranno stati anche altro: persone con dei valori, dei sentimenti, pregi, difetti e via dicendo. E nessuno si sognerebbe di definire Beethoven “un sordo”...

E allora, agganciandomi all’inizio del ‘pezzo’ dell’amico Piero D’Erasmo, aggiungo anche la mia voce: non siamo balbuzienti! Siamo persone che sono e che fanno un sacco di cose; poi, tra le altre nostre caratteristiche, ce n’è una di cui faremmo volentieri a meno: balbettiamo, chi più chi meno. Quindi, per concludere, siamo persone che balbettano, ANCHE.

Piero Pierotti
Presidente dell’Associazione